Come misurare e monitorare la qualità dell’aria in casa?
La casa, si sa, è il nostro “guscio” per eccellenza. Il luogo dove proteggerci dalle insidie del mondo esterno e dove poter godere appieno della nostra tanto anelata privacy. In casa, da svegli o da addormentati, trascorriamo buona parte della nostra giornata. E soprattutto in inverno, per non disperdere il patrimonio di calorie fornitoci dai termosifoni, l’apertura delle finestre per favorire il ricambio dell’aria non è frequentissimo. Di conseguenza, l’aria che respiriamo durante la nostra permanenza in casa, spesso è viziata dalle attività che vi si svolgono all’interno (cottura cibi, sudorazioni, ecc.).
Naturalmente ciascuno di noi ha una propria percezione della qualità dell’aria della stanza in cui si trova. C’è anche l’effetto dell’abitudine che ci fa percepire come “normale” la qualità dell’aria che invece reputerà “pessima” un amico che ci viene a trovare.
Tutti questi aspetti, sembra paradossale dirlo, si sono accentuati nei decenni con l’aumento della qualità degli edifici dove abitiamo i quali, proprio per far fronte alla non secondaria esigenza del risparmio energetico, sono diventati via via sempre più “ermetici” rispetto all’ambiente esterno. Serramenti a tenuta e rivestimenti murari non traspiranti hanno fatto si che nel corso degli anni, il ricambio dell’aria fosse declassato ad aspetto secondario ed affidato esclusivamente alla volontà umana.
Insomma, i tanto ripudiati “spifferi” in casa della nostra cara nonna non ci sono più (o quasi) e chi “ne soffre” è proprio la qualità dell’aria che respiriamo.
Perché è importante monitorare la qualità dell’aria?
È per questo motivo che, per una buona qualità della vita indoor, occorre che il fluido vitale di cui si nutrono i nostri polmoni sia libero da sostanze inquinanti e/o dannose per la nostra salute. Gli agenti che influenzano la qualità dell’aria che respiriamo dentro le nostre case sono numerosi. E di parecchi di questi, fra l’altro, non si conoscono appieno gli effetti sulla nostra salute. L’umidità prodotta dal normale utilizzo dei servizi igienici.
O quella prodotta dai panni stesi in casa vicino al termosifone. O, ancora, quella prodotta dalla nostra respirazione. O dalla cottura dei cibi. Cottura dei cibi che, fra l’altro, bruciando metano, genera anche monossido di carbonio nell’ambiente in cui viviamo. E che dire dei solventi e delle colle di cui sono impregnati mobili, infissi ed oggetti vari? Per non parlare dei prodotti che utilizziamo per le pulizie come candeggine, sgrassatori, acidi, ecc.
In questa guida vedremo come al termine “qualità dell’aria in casa“, termine percepito in genere come di tipo qualitativo, si possa invece dare un’accezione di tipo quantitativo. In poche parole la qualità dell’aria può essere calcolata e/o misurata secondo dei parametri oggettivi.
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Quali parametri si misurano e quali sono i valori di riferimento?
Al fine di valutare in maniera deterministica la qualità dell’aria, esistono dei parametri che devono essere presi in considerazione. Detti parametri influenzano la nostra qualità della vita quando siamo in casa. Addirittura alcune sostanze che respiriamo in casa possono pregiudicare la salute (“sick building” o malattia degli edifici). Questi parametri riguardano i seguenti fattori principali:
Ventilazione
Al fine di vivere in un ambiente salubre, sarebbe indispensabile effettuare un ricambio dell’aria ad intervalli di tempo regolari. Si stima che, relativamente ad una stanza media (14-16 mq), sia necessario aprire le finestre almeno ogni due ore per avere un ricambio d’aria idoneo. Ciò, naturalmente, soprattutto in inverno con il riscaldamento acceso, non è sempre possibile, pena una forte (e dispendiosa) dispersione termica.
Umidità dell’aria
Questo fattore (così come di tanti altri nella nostra vita) è necessario che sia “ben dosato” per la nostra salute. L’aria che respiriamo infatti non deve essere né troppo secca, né troppo umida. Alla concentrazione di umidità relativa nell’aria è abbinata la temperatura di quest’ultima Due sono dunque i parametri che vanno controllati.
Secondo studi del Ministero della Salute, nella stagione invernale, con una temperatura ottimale che va dai 19° ai 22°, l’umidità dell’aria della nostra casa non deve scendere al di sotto del 40% e non deve andare oltre il 50%.
Nella stagione estiva, invece i numeri aumentano: temperature fra i 24° ed i 26° e concentrazione di vapore acqueo (umidità relativa) tra il 50% ed il 60%.
Anidride carbonica (CO2)
Viene prodotta a seguito della respirazione umana (ma anche animale). È necessario che essa non superi determinati livelli, pena l’insorgere di effetti soporiferi che possono degenerare anche in veri e propri malesseri e stati di stordimento. In tal caso vengono compromesse anche le nostre prestazioni e la nostra concentrazione.
I valori limiti raccomandati per gli ambienti interni sia aggira intorno a 1.000/1.200 ppm (parti per milione). Ricordiamo che la ppm è una unità di misura adimensionale, data dal rapporto fra il volume dell’agente inquinante (in questo caso la CO2) ed il volume dell’aria, moltiplicato per un milione. Dunque, il limite 1.000/1.200 ppm per la concentrazione limite di CO2 all’interno della nostra casa impone che, per ogni litro di aria non devono persistere più di 1/1,2 ml di CO2.
In un ambiente interno sano e pulito, in genere la presenza di CO2 non supera i 360 ppm. Bisogna stare molto attenti, perché è facile fare innalzare i livelli di questo gas a causa delle normali attività umane. Ad esempio in un ufficio di 25 mq, dove lavorano quattro persone adulte, ventilato da poco, vede innalzata la concentrazione di CO2 a 2000 ppm nel giro di un’ora dalla chiusura delle finestre (finestre senza spifferi, naturalmente). C’è da specificare che negli uffici, la soglia limite per la presenza di anidride carbonica sale a 1.500 ppm.
Questi limiti riguardano il benessere della persona, non la sua salute. Per arrivare a mettere in pericolo quest’ultima occorrono valori ben più alti: oltre 50.000 ppm.
Ad ogni modo la presenza della CO2 è importantissima, sia perché è in cima alla lista dei parametri di riferimento per la valutazione dell’aria che respiriamo in casa, sia perché essa è l’effetto di un cattivo ricambio d’aria, il quale potrebbe generare la formazione in quantità eccessive di ulteriori sostanze nocive.
Composti organici (COV)
COV: sono i composti organici volatili, sostanze presenti nell’aria a causa della loro immissione da parte di mobili, carte da parati, toner, ecc.
In tal senso, la sostanza più diffusa è la formaldeide, un composto organico aeriforme dall’odore pungente, prodotto della combustione (fumo di sigaretta e altre fonti), ma anche da resine utilizzate per l’isolamento o quelle usate per il legno truciolato e compensato, per le tappezzerie, la moquette, i tendaggi, ecc.
La formaldeide, oltre ad essere un composto cancerogeno, causa irritazione oculare, nasale ed alla gola, affaticamento ed eritemi alla pelle; il valore limite raccomandato è stato posto dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) pari a 0,1 mg/mc (media su 30 minuti).
Un altro COV da non sottovalutare, e questo dipende anche dall’ubicazione geografica del sito dove sorge l’abitazione e dalla conformazione del suolo, è la possibile presenza di gas Radon, un gas anch’esso cancerogeno, che arriva ai nostri polmoni penetrando dal sottosuolo nelle stanze dove soggiorniamo.
Per non parlare di polveri sottili, pollini e smog che provengono dall’esterno quando apriamo le finestre per ricambiare l’aria.
Particolato (PM10, PM2.5)
È un pulviscolo disperso nell’aria prodotto da fattori sia esterni che interni alla nostra abitazione (fuliggine, scorie di combustione, ma anche fonti naturali).
Esiste un legame tra particolato e alterazioni e malattie respiratorie, bronchiti croniche, asma, incremento di rischio di tumore delle vie respiratorie (nel caso del particolato più fine, come quello contenuto nella fuliggine o in alcuni idrocarburi.
Con PM10 si identificano le particelle di diametro inferiore o uguale ai 10 µm (10 micron; 1 µm = 1/1000 di mm). Permangono a lungo in atmosfera e possono essere trasportate quindi anche a grande distanza rispetto al luogo di produzione.
Le PM2.5 (particolato fine), sono tutte quelle particelle sospese con diametro minore di 2,5 µm.
Secondo l’OMS, il valore limite per la media annuale relativo al PM10 non deve superare i 20 µg (20 microgrammi; 1 µg = 1/1000 di mg) ogni mc di volume d’aria, mentre per il PM2.5 la stessa media deve ridursi a 10 µg/mc.
Per quanto invece riguarda le medie giornaliere avremo 50 µg/mc (per non più di tre giorni l’anno) per il PM10 e 25 µg/mc per il PM 2.5
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I misuratori della qualità dell’aria
Esistono diversi tipi di rilevatori per misurare la qualità dell’aria domestica. Premesso che il ricambio dell’aria ad intervalli regolari è sempre un’ottima abitudine, poter contare sulla tecnologia con rilevatori/analizzatori dell’aria indoor non è un’opzione da sottovalutare. Anzi, in tal caso il progresso ci aiuta ad ottimizzare gli intervalli di tempo fra un ricambio e l’altro ed a risparmiare energia.
In commercio possiamo trovare diversi di questi “nasi elettronici” che sono dotati di sensori dedicati alla rilevazione dei vari fattori di cui si parlava prima (temperatura, umidità, CO2, polveri sottili, ecc.).
Sono strumentazioni dotate di sensori COV, misuratori CO2, particolari rilevatori per le polveri sottili.
I rilevatori indoor, oltre al monitoraggio degli agenti inquinanti, evitano anche la formazione di muffe, rilevano la perdita di gas o la presenza di monossido di carbonio in concentrazioni troppo alte.
Sono dispositivi, spesso a display, portatili o fissi (a parete o su un mobile). Per utilizzarli basterà accenderli in quanto sono già impostati su livelli riferiti agli standard normativi. Quelli migliori sono anche auto-calibranti ai fini dell’impostazione dei parametri. Possono essere collegati a smartphone, tablet e PC per memorizzare i dati ed analizzarli successivamente.
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